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Decomposizione di Dio. Un racconto e cento apologhi gnostici tra Kafka e Cioran
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Al di là del notevole spessore artistico (l’architettura severa e la ricchezza delle suggestioni simboliche), filosofico (le dilatazioni conoscitive, le seducenti sfide esistenziali, la realtà vista da occhi senza palpebre, gli abissi cosmici), narrativo (le geometrie e le deviazioni imprevedibili) e stilistico (una scrittura ovattata e ricamata; una prosa raffinata e chimerica, quasi un florilegio di sete; un ritmo avvolgente e ipnotizzante), il nuovo libro di Rino Tripodi, Decomposizione di Dio. Un racconto e cento apologhi gnostici tra Kafka e Cioran, si inoltra lungo i tenebrosi ed estremi sentieri della riflessione filosofica sul dolore e sulla presenza del Male nell’universo, risalendo passo dopo passo alla creazione e al Dio-demiurgo.
In tal modo gli iniziali scricchiolii della placidità del mondo, gli allarmanti indizi delle ombre, gli accartocciamenti delle increspature, si ampliano in trasalimenti e spaesamenti ossessionanti, in territori di deriva e di orrore, in voragini non segnate da alcuna sentinella, lungo i quali viene proclamata una metafisica vertiginosa, minacciosa e crudele: il buio accerchia l’esistenza e la strazia, rendendo fioca e comunque impercettibile la voce umana.
Seconda edizione. Pagine 104.
Il cielo si era dissolto: era mezzogiorno, ma mi aggiravo come un fantasma entro una sorta di crepuscolo. Quasi come nel corso di un’eclisse, tutto era coperto da una terrificante oscurità.
L’oceano si presentava di colore nero in pieno giorno e le onde erano talmente alte da coprire la linea dell’orizzonte. Sembrava che il mare si muovesse, si levasse, si innalzasse, simile a un enorme, oscuro manto, sul mondo intero.
In breve, la superficie marina si sollevò ben oltre il proprio abituale livello, anzi si erse al di sopra dell’orizzonte.
Si trattava di acque oleose, troppo dense per immaginare di potervi nuotare dentro. Si aveva l’impressione che, se si fossero appena sfiorate, avrebbero imbrattato l’incauto sperimentatore e che, se qualcuno vi si fosse immerso, sarebbe stato inghiottito da una sorta di melma bituminosa.
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