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Storie quasi vere
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… Quando il sole ormai basso rendeva tutti i colori più intensi e le ombre più calde e scure vide la ragazza verde. Passeggiava a pochi metri da lui in un’assolata radura erbosa e si dirigeva verso il bosco. Gli voltava le spalle per tre quarti e andava calma guardando pensierosa il suolo davanti a sé. Non c’era dubbio che fosse lei: il colore della pelle la mancanza di abiti, i capelli lunghissimi intrecciati di salice e quell’andatura leggera che a stento muoveva l’erba. Rimase un istante con un ginocchio posato a terra e l’altro sollevato come si trovava davanti all’ultima piantina di quella giornata, poi facendo uno sforzo quasi sovrumano pronunciò quel nome banale: «Flora!» …
(da Dendromania, 1980).
Pagine 145.
L’autore si pone il problema della verità nell’inventare storie. Fino a che punto una storia è “vera”? In quale misura la fantasia rielabora la realtà? E, posto che ogni scrittura sia almeno in parte autobiografica, quanto resta degli eventi reali nella narrazione? È possibile separarli dal sogno o anche semplicemente dalla rêverie? Perciò queste storie sono “quasi vere”, comunque più vere di altre che vagano nello spazio e nel tempo. La realtà che le sottende serve soprattutto da filo rosso, che riduce la fatica di elaborare un intreccio: la storia sembra vera, ricostruita dalla memoria che – si sa – è menzognera o perlomeno ingannevole. Ed è la fantasia a colmarne le inevitabili lacune.
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